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News
28 gennaio 2010
La Conferenza dei Sindaci dell'area vasta Pordenonese intervengono su PSSR Regionale
27 gennaio 2010 .
La Conferenza dei Sindaci dell’Area vasta pordenonese approva questo documento con cui esprime indirizzi generali e richieste alla Regione.
1.
Formare, coinvolgere, motivare
Il sistema di servizi e prestazioni sanitarie e sociali dell’Area vasta pordenonese è di notevole livello e ha consentito di dare risposte alla domanda di salute fisica, psichica e sociale che hanno innalzato sia la durata media della vita che la qualità della stessa.
Ma i sistemi umani non sono destinati a mantenere a lungo la loro efficacia. Strutturati per dare un certo tipo di risposte, sono chiamati rapidamente a darne altre, perché questioni nuove ed inedite si affacciano.
Se i sistemi sono rigidi mantengono in vita le vecchie organizzazioni sempre meno utili e ne costruiscono di nuove per rispondere alle novità. Così facendo si innalzano i costi del sistema. Oggi sappiamo che innalzare i costi non è più possibile.
Dunque abbiamo bisogno di un sistema duttile, flessibile, mai fermo. Significa fare affidamento sulla capacità delle persone di cambiare abitudini e sviluppare abilità nuove. Serve molta formazione, un forte coinvolgimento ed una grande capacità di motivare e ri-motivare per indurre i lavoratori a cambiare spesso ed efficacemente.
La trattazione del tema del personale (risorse umane) ed i vincoli, sia nella proposta di Piano e soprattutto nelle Linee di gestione 2010, alimentano invece il sospetto che si voglia utilizzare il blocco del turn-over come strumento per ottenere quelle riduzioni di spesa sulle quali non si riscontra un consenso sociale, dei comuni e dei lavoratori. Eventuali “riduzioni senza progetto” rischierebbero di impedire/rallentare la vera innovazione. Non è esplicitato se il recupero ed il reperimento di nuove risorse vengono indirizzati verso i punti più critici del sistema che sono ancora l’assistenza territoriale, la prevenzione e la promozione. Sarebbe più corretto agganciarli ad obiettivi di innovazione, qualificazione e potenziamento di servizi. Inoltre, la vera programmazione non sembra ricadere sul Piano triennale visto che “annualmente” la Giunta regionale stabilisce le azioni che gli Enti del SSR debbono attuare ed è quindi passibile di ogni possibile variazione. Le Linee di gestione 2010 sembrano avvalorare questa sensazione. Infatti, esse sono state approvate prima della proposta di PSSR.
Si esorta ad evitare la riduzione di personale rivolto all’erogazione di servizi alla persona.
2.
Le risorse
Non è credibile immaginare una ulteriore espansione della spesa sanitaria regionale in questa fase di grave crisi economica che riduce in particolare le entrate fiscali sulle quali la Regione autonoma basa gran parte del suo bilancio.
La sanità e gli interventi sociali assorbono più del 50% delle risorse della Regione e non è possibile non pensare alle ricadute economiche complessive per il territorio nel loro impiego e questo vale sia per il reddito dei lavoratori impegnati in sanità e nel sociale, sia per il valore degli investimenti della Regione in questo campo. Proprio perché esiste questa relazione fra risorse impegnate nella sanità e nel sociale e sviluppo complessivo dei territori, si manifesta la necessità di ripensare alla distribuzione degli investimenti sul territorio regionale in un’ottica diversa da quella finora percorsa, coerente con i recenti indirizzi politici della Regione, perché queste sono le attese dei cittadini.
Le risorse per dare nuove risposte alle domande di salute debbono perciò nel breve e medio periodo venire da una trasformazione del sistema di salute.
La questione delle risorse interagisce sia con la struttura del sistema di servizi e prestazioni sanitarie, sociosanitarie e sociali, sia col tema dello sviluppo e della fiscalità, sia con quello dei diritti di accesso al sistema stesso.
Fino a che l’attuale situazione di crisi economica non sia superata, ben difficilmente il sistema nel suo complesso potrà ottenere tutte le risorse di cui ha bisogno anche solo per mantenersi allo stato attuale. Negli ultimi anni infatti la crescita dei costi del sistema sanitario, dedotto ogni suo sviluppo in servizi e prestazioni, dunque per il suo puro mantenimento, è stata mediamente del 4.5 % annuo. A questo aumento concorrono i costi dei nuovi medicinali, delle tecnologie, delle manutenzioni, del personale. Quest’anno, con una scelta certamente apprezzabile, la Giunta regionale ha deciso un aumento dei fondi destinati al sistema dell’1.8%. Questo solo dato rende evidente la necessità di governare, e perciò selezionare, la domanda di prestazioni sanitarie, sociosanitarie e sociali, soprattutto nel settore della cronicità.
Ma se indirizzare e selezionare la domanda è possibile e necessario, solo spostare risorse dentro all’attuale sistema può gettare le condizioni per risparmiarne in futuro. Ad esempio tutte le comparazioni con i sistemi pubblici più evoluti (Danimarca, Svezia, Olanda…) ci dicono che anche nel Friuli Venezia Giulia spendiamo troppo per le strutture preposte alla cura delle fasi acute delle malattie (gli ospedali) e troppo poco per la cronicità, la disabilità, la riabilitazione, la prevenzione, l’educazione. Regione ed enti locali debbono in breve trasformare la spesa sia per venire incontro alle necessità di una popolazione che invecchia e perciò cronicizza, sia per non venir travolti dai costi del sistema.
Una grande voce di spesa desta serie preoccupazioni: quella farmaceutica. Nella proposta di PSSR non ci si esprime sul come affrontarla, salvo segnalare la necessità di un governo della domanda. Andrebbe invece valutato, soprattutto, l’impatto nel campo dell’innovazione, dell’ottimizzazione delle risorse e delle ricadute per le Istituzioni d’eccellenza. Su questo il CRO va conducendo esperienze innovative.
Non tutte le domande di aiuto possono trovare una risposta nelle istituzioni. Le reti sociali, amicali, famigliari, in rapporto con le istituzioni, possono sviluppare relazioni di aiuto. Ma debbono essere aiutate e sostenute, soprattutto le famiglie e le donne, che già oggi sono chiamate ad uno sforzo che diviene grandissimo, specie se collegato all’esigenza di mantenere il lavoro ed il reddito e contribuire ad una serena educazione dei figli. Le azioni di stimolo alla nascita e manutenzione delle reti sociali e di aiuto alle famiglie, che ne abbiano necessità, debbono essere componenti strutturali del sistema.
Sostenere le famiglie significa rafforzare tutti gli strumenti dell’aiuto domiciliare ed in particolare l’ADI, i SAD, le UTAP dei Medici di Medicina Generale. Tuttavia queste strutture richiedono una riconsiderazione per essere realmente funzionali alle esigenze dei cittadini.
Non fosse altro che per spostare le relazioni di aiuto dalle istituzioni alle reti sociali, i comuni debbono mantenere un ruolo fondamentale nelle politiche sociali e nell’integrazione sociosanitaria: per costruire reti sociali, dare loro ruoli, sedi, aiuti, occasioni, opportunità è impensabile senza che tutte le comunità locali siano coinvolte.
Se non tutto può essere risolto dalle istituzioni, allora bisogna indicare con chiarezza che cosa le istituzioni con certezza possono fare. Insomma vanno definite priorità, sulla base di evidenze epidemiologiche e con un largo coinvolgimento della popolazione. È con la definizione e pubblicazione dei Livelli Essenziali di Assistenza, che attendiamo ormai da troppo, che dobbiamo essere chiamati a definire e condividere queste priorità.
In questa logica, la persona che si rivolge ai servizi sanitari, sociosanitari e sociali deve assumere sempre maggiore responsabilità. Il progetto di intervento e cura va concordato con la persona, che deve impegnarsi a seguirlo. Spetta ovviamente agli operatori ed alle istituzioni verificare la efficacia e correttezza del progetto, ma la persona è fondamentale nei percorsi di cura. Va detto con chiarezza che non seguire i percorsi concordati corrisponde ad una rinuncia all’intervento di aiuto delle istituzioni, le quali non possono essere chiamate ad intervenire sempre e comunque, ma solo in una relazione positiva di collaborazione con le persone e le famiglie.
Se le persone sono chiamate a seguire i progetti concordati e ad assumere stili di vita sani, gli operatori sanitari, sociosanitari e sociali sono chiamati a fornire prestazioni sempre più appropriate ed a costruire relazioni corrette con le persone. Per farlo serve innalzare la qualità dei sistemi e dei singoli nei sistemi. Servono verifiche rigorose. Servono aggiornamenti professionali e formazione continua. Serve attribuire alle persone ed alle famiglie il diritto non solo formale ma vero e sostanziale di verificare se tutto sia stato fatto con tempestività, appropriatezza e con rigore professionale. E se in alcune circostanze le cose non sono andate così, bisogna avviare azioni riconoscibili di risanamento del sistema.
3.
Il governo del sistema ed il ruolo dei comuni
La grande complessità del sistema sanitario e sociale regionale è anche una rappresentazione dei tantissimi interessi che lo reggono: territoriali, sociali, professionali, finanziari, economici.
È evidente la necessità di ripensare la governance del sistema. In questi mesi l’Amministrazione regionale ha assunto decisioni importanti, com’era nel suo diritto, ma non ha cercato percorsi di condivisione ad esempio coi comuni. La riduzione della Conferenza di Codroipo ad un semplice strumento consultivo va in questa discutibile direzione. L’indirizzo fino ad ora prevalso e che trova nella proposta di PSSR conferme è quello alla semplificazione ed all’accentramento dei poteri nel sistema. Semplificare e centralizzare i poteri non sempre ha comportato una diminuzione di spesa, come clamorosamente si è visto con l’unificazione fra Santa Maria della Misericordia e Policlinico Universitario Udinese. Bisogna infatti non presumere che tutti i poteri siano facilmente riconducibili ad un progetto di semplificazione ed unificazione e che addirittura proprio questi processi possano condurre a duplicarli, com’è avvenuto nella dialettica fra primariati nella nuova Azienda Ospedaliero Universitaria Santa Maria della Misericordia, rendendo impossibile una diminuzione del numero delle cliniche ed aumentando i costi con l’adeguamento generalizzato dei contratti di lavoro ai livelli più alti, cosa che spiega il differenziale di retribuzione fra operatori del SMA e delle altre due aziende ospedaliere regionali. Nella semplificazione bisogna dunque operare con un progetto che definisca esattamente come e dove avverrà una riduzione dei costi e quali ostacoli dovranno essere rimossi.
In questo quadro si inserisce il tema della continuità della gestione, che nella nostra Area vasta si è dimostrato assai significativo. Si auspica perciò che il mandato dei nuovi direttori generali sia quinquennale (eventualmente revocabile) e non triennale per permettere l’effettiva attuazione del mandato dei direttori generali.
I sindaci dell’Area vasta pordenonese sanno di dover contribuire al governo del sistema definendo indirizzi che vogliono concordare con la Regione. Scegliere infatti quali servizi trasformare e ridurre e quali ampliare, quali sinergie creare fra reti ospedaliere e territorio, fra strumenti per la salute fisica, mentale e sociale, è compito al quale i comuni debbono accingersi, sempre che non vogliano che le scelte vengano fatte in un luogo apparentemente “tecnico”, che però incide pesantemente su di loro: le politiche sociali e dell’integrazione sociosanitaria sono strumenti fondamentali di governo del territorio, alle quali i comuni debbono contribuire, perché inevitabilmente i cittadini glielo chiedono e per non smarrire ruolo e significato. Questa in particolare è la fase in cui le risorse sociali sono immensamente più grandi di quelle istituzionali e più di tutto conta creare reti sociali e nessuno può sostituire il comune nel dare sostegno e sostanza nei territori a questi processi.
Il ruolo dei sindaci, in questo contesto, deve essere meglio valorizzato dalla Regione, attribuendo loro specifiche autonomie d’intervento.
4.
La rete dell’emergenza
Ridurre la rete dell’emergenza al solo Pronto Soccorso dell’AOSMA non è possibile, sia da un punto di vista strutturale, che dell’organizzazione del lavoro. Già oggi il Pronto Soccorso dell’Ospedale è oberato di lavoro.
Bisogna invece selezionare i codici in arrivo. Quindi sarà necessaria una riflessione sui livelli di assistenza garantiti dai vari Pronto Soccorso per adeguarne la struttura alle effettive potenzialità, mettendo in sicurezza i cittadini rispetto ai loro reali bisogni. Bisogna integrare in un sistema di prime cure gli studi medici associati sul territorio (UTAP). L’esperienza delle UTAP va sostenuta ed ampliata.
Quanto alla città, anche su questa dimensione dovrebbe esserci un accordo chiaro fra AOSMA e Casa di Cura San Giorgio, che lasci alla seconda i casi più semplici.
Ovviamente questo quadro d’insieme tiene conto del mantenimento di attività ospedaliere a Sacile (AOSMA), Spilimbergo e San Vito al Tagliamento (ASS6), del carattere di centro sanitario territoriale positivamente assunto dallo stabilimento ospedaliero di Maniago e del tempo necessario alla costruzione del nuovo ospedale di Pordenone, fattore che inevitabilmente richiederà un nuovo equilibrio.
5.
Le medicine ospedaliere
L’invecchiamento della popolazione accresce la domanda di ricoveri nei reparti di medicina. Anche la cronicità non è una condizione costante nel tempo, ma un susseguirsi di evoluzioni delle condizioni del paziente dentro un quadro conosciuto. Spesso le persone affette da malattie croniche hanno bisogno di ricoveri nei reparti di medicina. Oggi i maggiori ospedali non hanno posti letto di medicina sufficienti ed i malati vengono impropriamente ricoverati in altri reparti. Si tratta di un servizio necessario alla popolazione. Non ha senso chiudere o ridurre le medicine di Sacile e Maniago, territori dai quali inevitabilmente ci si rivolgerebbe all’ospedale di Pordenone che è già in difficoltà. Le medicine sono le funzioni ospedaliere di più immediato rapporto col territorio. Può essere invece ripensata la mission di Sacile (con una forte propensione riabilitativa anche per il paziente acuto) e di Maniago (anche volta alla lungodegenze). Sono in atto positive sperimentazioni sia dentro gli stabilimenti ospedalieri (specie nel SMA, a Pordenone e Sacile), che in relazione col territorio, volendo costruire una nuova relazione coi MMG, con l’ADI e con i SAD.
6.
Gli ospedali di San Vito al Tagliamento,
Sacile, Spilimbergo e Maniago
Il Piano non prevede la fine delle attività ospedaliere in questi centri.
È ragionevole definire che gli ospedali dedicati all’acuzie nell’Area vasta, stante la attuale situazione epidemiologica, organizzativa e di potenzialità dell’offerta, siano quelli di Pordenone e di San Vito al Tahliamento.
Lo stabilimento ospedaliero di San Vito al Tagliamento deve continuare ad ospitare non solo una unità ospedaliera complessa, con specialità plurime, ma anche servizi territoriali estremamente interessanti ed attrattivi, come il Servizio per i Disturbi Alimentari della ASS6.
Gli stabilimenti ospedalieri di Sacile e Spilimbergo vanno prevalentemente orientati verso le necessità clinico-assistenziali del paziente anziano multiproblematico e ad assolvere ai bisogni sanitari e socio-sanitari della popolazione residente nel territorio dei due distretti. Per ciò che riguarda invece le funzioni ospedaliere specialistiche, esse si giustificano in tanto quanto trovano una loro vocazione specifica che serve tutto il territorio dell’Area vasta e, vista anche la loro collocazione geografica ed il ruolo storicamente giocato dalle due città, le fa diventare attrattive.
Si può immaginare che verso Sacile si indirizzino tutte le attività di riabilitazione per acuti in uscita dal Santa Maria degli Angeli e quelle immediatamente successive alla fase acuta della malattia e che a Spilimbergo siano indirizzate le attività di “day surgery” dell’Area vasta.
Infine Maniago ha completato una fase di ristrutturazione esemplare, diventando un presidio sociosanitario territoriale nel quale sono presenti alcune attività di medicina ospedaliera e di pronto soccorso. Questo carattere di presidio misto, nel quale permangono attività ospedaliere, va riconosciuto se si vuole valorizzare l’esperienza ed offrirla ad altri come modello.
Una riorganizzazione territoriale degli ospedali rappresenta sicuramente il punto più critico che un piano socio-sanitario possa affrontare. Occorre saper coniugare la presenza di un ospedale di riferimento di alta qualità con una rete di presidi territoriali che, oltre a svolgere la funzione di ospedale di prossimità, mantengano inalterate le funzioni di attività storicamente svolte. Tali funzioni devono essere stabilite da precise norme e non essere modificabili da strategie poste in atto di volta in volta dai direttori generali. A queste condizioni, che al momento non vediamo presenti, si potrebbe parlare di ospedali riuniti, vale a dire una unica azienda ospedaliera operativa in più località del territorio.
Nel frattempo tutti i presidi ospedalieri devono mantenere e se mai potenziare la strumentazione diagnostica al fine di essere vero, serio ed efficace punto di riferimento dei cittadini.
7.
Dove trovare risorse:
le attività ospedaliere specialistiche
Le attività ospedaliere specialistiche, in particolare in campo chirurgico, debbono essere organizzate ed erogate da dipartimenti specialistici di Area vasta oggi necessariamente interaziendali, ma che domani potrebbero rispondere ad una unica azienda ospedaliera di Area vasta. A Pordenone si sono avviate esperienze positive, che indicano che è possibile una importante razionalizzazione.
8.
Il CRO: un istituto di effettivo riferimento
per la regione nel campo oncologico
Il CRO è inserito nel Sistema Sanitario Regionale con funzione di IRCCS, con finalità di ricerca clinica e di base, assistenza di elevata qualità e complessità e formazione post-laurea. Ciò in accordo con le normative nazionali che assegnano agli IRCCS il compito di ospedali ad alta specializzazione a valenza nazionale, con compiti di ricerca finalizzata al miglioramento delle conoscenze e della loro applicabilità in un contesto traslazionale. Il CRO deve mantenere i requisiti richiesti dalle norme nazionali per la qualifica di IRCCS (attività clinico-assistenziale, laboratori, ricerca di base, ricerca clinica trasferibile alla attività assistenziale del nostro territorio) perseguendo la miglior integrazione e collaborazione possibile con l’Ospedale di Pordenone, come individuato dalle direttive regionali.
Circa metà dei pazienti curati all’IRCCS-CRO con trattamenti di eccellenza / ad alta complessità è proveniente da fuori regione FVG, a conferma del ruolo nazionale di riferimento per le patologie oncologiche che viene riconosciuto all’Istituto. Una operatività clinica-assistenziale di elevata qualità e quantità e’ presupposto indispensabile alla attuazione di una ricerca traslazionale di valore.
Il CRO rappresenta l’attività sanitaria con maggiore capacità di attrazione a livello nazionale ed è una preziosa risorsa della realtà sanitaria regionale e provinciale. Esso deve assumere in toto il suo ruolo di riferimento inclusa la funzione di riferimento oncologico provinciale, nonché il Coordinamento del Dipartimento Oncologico Regionale. Queste premesse possono trovare un’effettiva concretizzazione solo creando una funzione unica oncologica per l’area vasta pordenonese governata e diretta dal CRO che racchiuda le attuali SOC di oncologia di tutto il territorio pordenonese (Azienda territoriale n° 6 e Azienda Santa Maria degli Angeli di Pordenone). Questo garantirebbe la necessaria competitività in termini di numeri al CRO e permetterebbe la realizzazione delle funzioni di riferimento regionale (Oncologia, farmacologia oncologica, diagnostica molecolare ed imaging, epidemiologia oncologica).
Il nuovo Piano Oncologico Nazionale 2008-2010, messo a punto dalla Commissione oncologica nazionale, propone di:
- strutturare le reti oncologiche regionali (ROL) attorno a un “nodo”, l’IRCCS monotematico che dovrebbe essere rinominato IRB (Istituto di Ricerca Biomedica). Compito del network regionale dovrebbe essere quello di definire i percorsi assistenziali programmati per le principali patologie e situazioni cliniche;
- garantire una presa in carico globale del malato fin dall’inizio del percorso terapeutico, attraverso un approccio multidisciplinare e multidimensionale rafforzato dall’integrazione tra servizi territoriali e ospedalieri di cure palliative e del medico di famiglia.
E’ importante rilevare che nella Regione Lombardia la funzione di Ente attuatore del progetto ROL è svolta dall’IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano e coordinato dalla Direzione Scientifica dell’IRCCS stesso.
9.
Sanità territoriale: nella trasformazione istituzionale
quale ruolo per i distretti?
Il PSSR 2010-2012 giunge alla fine di una lunga fase di riflessione e discussione sull’assetto istituzionale della sanità e avendo realizzato una riforma importante dell’intervento sociale istituzionale con la definitiva attribuzione di funzioni operative agli ambiti.
Sia la precedente che questa Amministrazione regionale hanno avanzato proposte di razionalizzazione dell’assetto istituzionale. In particolare per la sanità territoriale, si avanzano proposte per la creazione di una unica azienda regionale, dopo aver passato la gestione di tutti gli stabilimenti e di tutte le attività ospedaliere alle tre aziende ospedaliere di Area vasta. Questa scelta dovrebbe consentire un miglior controllo della spesa ed una razionalizzazione degli apparati amministrativi. Abbiamo però esperienze di accentramento delle funzioni cui non ha corrisposto né più efficacia né più risparmio.
Qualsiasi “semplificazione” deve perciò avvenire sulla base di un progetto studiato nei particolari e convincente, pena risultati opposti a quelli dichiarati. Ma la domanda cui rispondere in questo quadro è quale ruolo si individui, allora, per i distretti sanitari, la vera “incompiuta” della sanità regionale. È chiaro che i distretti non debbono essere piccole aziende sanitarie, ma se servono a razionalizzare la spesa, allora debbono essere collegati ad un obiettivo generale raggiungibile: dare a tutti i cittadini del FVG uguali diritti sanitari e sociali e renderli esigibili per tutti sul loro territorio di residenza. Definiti i LEA si potrà distribuire la spesa sul territorio in modo equo e prevedibile, eliminando quei punti bassi ed alti che sono oggi caratteristica del sistema di sanità territoriale ma soprattutto evitando che una concessione fatta ad un territorio si trasformi poi in un fattore di sviluppo di tutta la spesa regionale.
Insomma il Distretto dovrebbe essere uno strumento con poca burocrazia, con obiettivi chiari definiti coi LEA, con un margine di autonomia limitato ma vero, dentro il quale possa sviluppare l’integrazione col territorio e con l’Ambito in particolare.
Si possono sperimentare anche forme di efficace integrazione istituzionale fra Ambito e Distretto, a cominciare dalla definizione dei PAT-PDZ. Considerati i complessi ed onerosi processi di progettazione recentemente messi in atto dagli Enti Locali - con l’assunzione di un ruolo di regia politica e tecnica - e l’alto numero di soggetti istituzionali e non istituzionali coinvolti nel processo di pianificazione e programmazione partecipata dei PDZ, si rende necessario “riorganizzare” le modalità di pianificazione locale sociosanitaria PAT/PDZ. Si chiede che gli aspetti di innovazione non rientrino nei budget ordinari ma trovino delle risorse aggiuntive magari su bandi specifici. Allo scopo i PDZ devono essere considerati il metodo della programmazione sociale e lo strumento per la costruzione del welfare integrato. Il processo va sicuramente migliorato, raccogliendo ed analizzando i dati epidemiologici del territorio e definendo i LEA sia sanitari che sociali, in modo da rendere i processi di programmazione e progettazione di effettiva utilità per il cittadino residente nella nostra regione. Quel che non sarebbe possibile né concepibile è una espropriazione delle politiche sociali ai comuni, per le motivazioni più volte sopra richiamate. Piuttosto, se si vuol dare certezze all’integrazione sociosanitaria, si passi rapidamente ad approvare strumenti simili a quelli già vigenti in molte regioni e conseguenti ai decreti attuativi della Legge nazionale 328/2000.
10.
Il vero punto di storica debolezza dell’Area vasta:
la sanità territoriale e l’integrazione sociosanitaria
Uno degli elementi portanti del nostro sistema regionale è l’integrazione socio-sanitaria che va realmente sostanziata con strumenti e mezzi adeguati e verificabili. Per conseguire questo obiettivo sarebbe auspicabile che al PSSR venisse affiancato un Piano sociale regionale, come del resto era stato annunciato nella fase di presentazione del Libro Verde, per consentire una maggiore e migliore integrazione.
Nella nostra Area vasta i servizi sanitari territoriali sono deboli. Essere deboli non significa certo non esistere. Significa avere risorse umane, materiali e finanziarie inferiori rispetto alla domanda di salute che viene dai cittadini. Significa essere costretti ed effettuare un numero altissimo di prestazioni ma poter effettuare di frequente prese in carico deboli. Significa stressare molto sia chi lavora in alcuni settori, che le famiglie che sono costrette a supplire.
L’Area vasta pordenonese, sia per scelte errate operate dai suoi decisori politici (l’assoluta centralità degli ospedali non ci è stata imposta né da Roma né da Trieste), sia per aver subito gli effetti di una scarsa attenzione regionale, non ha servizi territoriali sufficienti e non ne avrà in futuro se il meccanismo di finanziamento regionale resta il sostegno alla spesa storica. Quando nella proposta
di PSSR si indica la necessità di un “catalogo dell'offerta dei servizi sociosanitari accreditati”, basato sui “costi standard” pare si indichi la necessità di ripensare alla distribuzione delle risorse sul territorio regionale.
Ma per passare ad una nuova fase è necessario che la Regione definisca finalmente i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) uguali per tutti i cittadini della regione ovunque residenti e li renda esigibili per tutti. La bozza di PSSR 2010-2012 apre nuove speranze, affermando una nuova cultura ed una nuova attenzione alla disabilità ed alla cronicità.
La Conferenza dei Sindaci dell’Area vasta pordenonese condivide le premesse generali del Piano 2010-2012 nelle loro enunciazioni valoriali e di principio, in particolare dove si sostiene che “i cittadini sono uguali dal punto di vista dei diritti e delle aspirazioni” e “i gruppi fragili vanno attivamente individuati e serviti”: sono affermazioni importanti che dovrebbero permeare tutto il sistema di welfare regionale.
Bisogna però porre mano all’assenza di riferimenti forti, nella bozza di PSSR, ad alcune questioni importanti, come il settore materno infantile, quelli della riabilitazione e della prevenzione, quest’ultimo con un’attenzione specifica dedicata alla salute nei luoghi d lavoro, alla medicina dello sport. Nella bozza di PSSR in esame si afferma che in questi settori continuano ad essere operative le linee approvate con il precedente Piano sanitario e socio-sanitario 2006-2008. Si auspica il mantenimento della visione strategica contenuta nei precedenti piani regionali, apportando i necessari interventi migliorativi.
In particolare per quel che riguarda la salute delle donne e dei bambini: la rete dei consultori ed i servizi di neuropsichiatria infantile meritano attenzione specifica, perché trattano della fertilità umana e dei bambini e sono perciò imprescindibili per il nostro futuro, uno dei campi verso i quali trasferire le risorse risparmiate altrove.
È evidente che la bozza di PSSR è stata costruita attorno alla cultura che ha generato l’ICF (e non tanto all’ICF come strumento). Le abilità e non le disabiltà diventano centrali e perciò l’inserimento lavorativo, le reti sociali ed il terzo settore (e la cooperazione sociale) sono determinanti. Si è creduto che questo passaggio logico fosse evidente per tutti ma non è così e varrà la pena di esplicitarlo. Questa nuova sensibilità culturale, che indica la necessità di una visione unitaria e complessa della persona, deve contribuire al coordinamento delle risorse impegnate per disabilità e cronicità, per evitare che l’attuale frammentazione possa generare confusione nelle “appartenenze” dei singoli soggetti ai diversi filoni d'intervento.
Per quanto riguarda la nostra Area vasta, è chiaro che dobbiamo superare la concezione per cui di una persona dipendente da sostanze o con una malattia mentale noi oggi vediamo soprattutto la mancanza di abilità e non ciò che può dare in termini di utilità sociale. È anche vero però che gli strumenti per valorizzare quello che le persone possono dare sono troppo scarsi e che, ad esempio, per valorizzare, un Dipartimento delle Dipendenze con solo 23 operatori per affrontare sia
l’estesissimo abuso di alcol che le dipendenze da tutte le altre sostanze, pur basandosi su solide reti sociali, è davvero troppo poco. Se poi accettiamo il dato epidemiologico secondo cui le minori abilità sono oggi frutto soprattutto di infortuni ed incidenti, come non vedere la pochezza strutturale del Dipartimento per le Dipendenze?
Colpisce nel Piano una assenza di riflessione sul ruolo dei Medici di Medicina Generale, che sono invece uno dei pilastri dell’attuale sistema. Bisogna fare un grande sforzo per connetterli in modo strutturale al sistema nel suo complesso. Le associazioni dei medici di medicina generale sono lo strumento migliore per farlo, dando un servizio innovativo sul territorio. Appare contraddittorio sollecitare una razionalizzazione delle urgenze ospedaliere, ridurre ruolo e peso delle medicine e contemporaneamente non pensare che UTAP (e ADI) debbano assumere un ruolo ed un peso sempre maggiore. A meno che non si pensi ad altri strumenti non esplicitati.
I Medici di Medicina Generale possono essere anche uno strumento importante di governo della domanda di prestazioni e perciò delle liste d’attesa. I tempi per le liste d’attesa devono infatti essere affrontati dando priorità all’efficienza, evitando di reagire in risposta a notizie negative occasionali bensì con risposte di sistema.
Infine, la cosa più importante. La bozza di PSSR fa intravedere ipotesi nuove di organizzazione della sanità territoriale: una azienda unica regionale del territorio, un modello di integrazione ambiti-distretti in via di definizione ma che deve esaltare il protagonismo dei comuni pena grandi difficoltà nel raccordo con le sempre più indispensabili reti sociali e con tutte le attività educative.
E’ necessario un progetto volto a garantire a tutti i cittadini eguali Livelli Essenziali di Assistenza effettivamente esigibili. Che non vuol dire dividere la spesa complessiva regionale per la sanità territoriale per il numero dei residenti in FVG e moltiplicarla per quello dei residenti in ogni ambito-distretto: è chiaro che vari fattori cambiano la spesa sanitaria, come la presenza di anziani, bambini, immigrati regolari e l’essere o meno un territorio di montagna. Ma uno sforzo per garantire a tutti eguali diritti sociali e sanitari va assolutamente compiuto, altrimenti di questa proposta verrà concepito solo un carattere di accentramento regionale delle decisioni.
11.
Un piano
per l’area montana
Nell’area montana della provincia di Pordenone l’età media è superiore a quella regionale e provinciale; il reddito medio pro-capite è inferiore alla media provinciale e regionale; la densità abitativa è pari a 32 abitanti per kmq contro una media provinciale di 129 e regionale di 155; esiste una importante difficoltà di trasporto per accedere ai servizi; ci sono lunghe liste di attesa; c’è una forte carenza di strutture di offerta socio-sanitaria.
Non c’è mai stato un piano globale per questo territorio, che lo mettesse in sicurezza, ma proprio questo è oggi necessario: un progetto complessivo di sviluppo. L’Assemblea dei Sindaci dell’Ambito Nord ne ha approvate le linee essenziali in un documento che viene allegato a questo.
12.
Residenze per anziani:
rivedere e completare la rete
Nell’Area vasta pordenonese esiste già una importante rete di residenze per anziani non più autosufficienti, che oggi accolgono soprattutto persone affette dai vari tipi di demenza, richiedendo una specializzazione di alcune funzioni delle case. Esistono tuttavia pochi territori che comprendono più comuni che non ne dispongono. E’ giusto in questi limitatissimi casi autorizzare l’apertura di nuove, piccole residenze, secondo gli standard di qualità approvati dalla Regione. Ciò varrà tra l’altro a ridurre le liste d’attesa nelle altre case e a rendere più semplice ai famigliari mantenere contatti coi loro cari e partecipare alle attività di cura. Lo sradicamento dal territorio non è mai una buona opportunità né per le persone né per le famiglie.
In alcuni ambiti distrettuali si è avviata la sperimentazione delle liste uniche per l’accesso alle varie case, in modo da razionalizzare questo processo e facilitare le famiglie. Fra qualche mese le assemblee dei sindaci potranno valutare i primi esiti della sperimentazione.
Esiste infine la questione dell’adeguamento delle case esistenti ai nuovi parametri per il loro accreditamento varati dall’Amministrazione regionale. È necessario che la Regione aiuti i comuni nell’operazione di adeguamento strutturale delle attuali case o nella realizzazione di nuove sostitutive, laddove quelle esistenti (ad esempio prevedendo molti più posti letto dei 120 massimi oggi previsti) non possano più essere utilizzate o dove l’operazione di ristrutturazione, dovendo avvenire in vecchi edifici, richieda troppe risorse rispetto alla nuova costruzione.
13.
Ci candidiamo
a sperimentare
L’Area vasta pordenonese è sempre stata luogo fertile di sperimentazioni in campo sociale e sanitario.
Ci sono almeno tre questioni sulle quali ci candidiamo a compiere sperimentazioni che, se avranno successo, possono essere estese a tutti:
a) L’ICF. In alcune realtà abbiamo già avviato l’utilizzazione dello strumento. Abbiamo realtà sia istituzionali che del Terzo settore pronte per sperimentare e vogliamo farlo. Abbiamo una mentalità da sempre volta a valorizzare quel che una persona può e la sua utilità sociale rispetto ad ogni altra considerazione.
b) Punti unici di accesso al sistema. Le tre aziende operanti sull’Area vasta e gli ambiti possono creare punti unici di accesso e sperimentare una presa in carico con un unico care giver. Abbiamo già avviato esperienze e possiamo espanderle.
c) Messa in rete di tutti i servizi. Siamo pronti per farlo.
14.
Un efficace sistema
di verifiche
Troppo spesso l’impressione che abbiamo è che non ci sia una verifica vera dell’esito di tante discussioni e di documenti faticosamente approvati. Si passa da un PSSR all’altro senza un esame chiaro di che cosa sia avvenuto nel frattempo e se le previsioni si siano avverate e come. Invece di tutto questo c’è bisogno e deve essere un sistema partecipato e trasparente, a costo zero, per alzare la consapevolezza di tutti. La Regione è chiamata a realizzarlo ed i comuni sono disposti a collaborare.
La Conferenza dei Sindaci dell’Area vasta pordenonese approva questo documento con cui esprime indirizzi generali e richieste alla Regione.
1.
Formare, coinvolgere, motivare
Il sistema di servizi e prestazioni sanitarie e sociali dell’Area vasta pordenonese è di notevole livello e ha consentito di dare risposte alla domanda di salute fisica, psichica e sociale che hanno innalzato sia la durata media della vita che la qualità della stessa.
Ma i sistemi umani non sono destinati a mantenere a lungo la loro efficacia. Strutturati per dare un certo tipo di risposte, sono chiamati rapidamente a darne altre, perché questioni nuove ed inedite si affacciano.
Se i sistemi sono rigidi mantengono in vita le vecchie organizzazioni sempre meno utili e ne costruiscono di nuove per rispondere alle novità. Così facendo si innalzano i costi del sistema. Oggi sappiamo che innalzare i costi non è più possibile.
Dunque abbiamo bisogno di un sistema duttile, flessibile, mai fermo. Significa fare affidamento sulla capacità delle persone di cambiare abitudini e sviluppare abilità nuove. Serve molta formazione, un forte coinvolgimento ed una grande capacità di motivare e ri-motivare per indurre i lavoratori a cambiare spesso ed efficacemente.
La trattazione del tema del personale (risorse umane) ed i vincoli, sia nella proposta di Piano e soprattutto nelle Linee di gestione 2010, alimentano invece il sospetto che si voglia utilizzare il blocco del turn-over come strumento per ottenere quelle riduzioni di spesa sulle quali non si riscontra un consenso sociale, dei comuni e dei lavoratori. Eventuali “riduzioni senza progetto” rischierebbero di impedire/rallentare la vera innovazione. Non è esplicitato se il recupero ed il reperimento di nuove risorse vengono indirizzati verso i punti più critici del sistema che sono ancora l’assistenza territoriale, la prevenzione e la promozione. Sarebbe più corretto agganciarli ad obiettivi di innovazione, qualificazione e potenziamento di servizi. Inoltre, la vera programmazione non sembra ricadere sul Piano triennale visto che “annualmente” la Giunta regionale stabilisce le azioni che gli Enti del SSR debbono attuare ed è quindi passibile di ogni possibile variazione. Le Linee di gestione 2010 sembrano avvalorare questa sensazione. Infatti, esse sono state approvate prima della proposta di PSSR.
Si esorta ad evitare la riduzione di personale rivolto all’erogazione di servizi alla persona.
2.
Le risorse
Non è credibile immaginare una ulteriore espansione della spesa sanitaria regionale in questa fase di grave crisi economica che riduce in particolare le entrate fiscali sulle quali la Regione autonoma basa gran parte del suo bilancio.
La sanità e gli interventi sociali assorbono più del 50% delle risorse della Regione e non è possibile non pensare alle ricadute economiche complessive per il territorio nel loro impiego e questo vale sia per il reddito dei lavoratori impegnati in sanità e nel sociale, sia per il valore degli investimenti della Regione in questo campo. Proprio perché esiste questa relazione fra risorse impegnate nella sanità e nel sociale e sviluppo complessivo dei territori, si manifesta la necessità di ripensare alla distribuzione degli investimenti sul territorio regionale in un’ottica diversa da quella finora percorsa, coerente con i recenti indirizzi politici della Regione, perché queste sono le attese dei cittadini.
Le risorse per dare nuove risposte alle domande di salute debbono perciò nel breve e medio periodo venire da una trasformazione del sistema di salute.
La questione delle risorse interagisce sia con la struttura del sistema di servizi e prestazioni sanitarie, sociosanitarie e sociali, sia col tema dello sviluppo e della fiscalità, sia con quello dei diritti di accesso al sistema stesso.
Fino a che l’attuale situazione di crisi economica non sia superata, ben difficilmente il sistema nel suo complesso potrà ottenere tutte le risorse di cui ha bisogno anche solo per mantenersi allo stato attuale. Negli ultimi anni infatti la crescita dei costi del sistema sanitario, dedotto ogni suo sviluppo in servizi e prestazioni, dunque per il suo puro mantenimento, è stata mediamente del 4.5 % annuo. A questo aumento concorrono i costi dei nuovi medicinali, delle tecnologie, delle manutenzioni, del personale. Quest’anno, con una scelta certamente apprezzabile, la Giunta regionale ha deciso un aumento dei fondi destinati al sistema dell’1.8%. Questo solo dato rende evidente la necessità di governare, e perciò selezionare, la domanda di prestazioni sanitarie, sociosanitarie e sociali, soprattutto nel settore della cronicità.
Ma se indirizzare e selezionare la domanda è possibile e necessario, solo spostare risorse dentro all’attuale sistema può gettare le condizioni per risparmiarne in futuro. Ad esempio tutte le comparazioni con i sistemi pubblici più evoluti (Danimarca, Svezia, Olanda…) ci dicono che anche nel Friuli Venezia Giulia spendiamo troppo per le strutture preposte alla cura delle fasi acute delle malattie (gli ospedali) e troppo poco per la cronicità, la disabilità, la riabilitazione, la prevenzione, l’educazione. Regione ed enti locali debbono in breve trasformare la spesa sia per venire incontro alle necessità di una popolazione che invecchia e perciò cronicizza, sia per non venir travolti dai costi del sistema.
Una grande voce di spesa desta serie preoccupazioni: quella farmaceutica. Nella proposta di PSSR non ci si esprime sul come affrontarla, salvo segnalare la necessità di un governo della domanda. Andrebbe invece valutato, soprattutto, l’impatto nel campo dell’innovazione, dell’ottimizzazione delle risorse e delle ricadute per le Istituzioni d’eccellenza. Su questo il CRO va conducendo esperienze innovative.
Non tutte le domande di aiuto possono trovare una risposta nelle istituzioni. Le reti sociali, amicali, famigliari, in rapporto con le istituzioni, possono sviluppare relazioni di aiuto. Ma debbono essere aiutate e sostenute, soprattutto le famiglie e le donne, che già oggi sono chiamate ad uno sforzo che diviene grandissimo, specie se collegato all’esigenza di mantenere il lavoro ed il reddito e contribuire ad una serena educazione dei figli. Le azioni di stimolo alla nascita e manutenzione delle reti sociali e di aiuto alle famiglie, che ne abbiano necessità, debbono essere componenti strutturali del sistema.
Sostenere le famiglie significa rafforzare tutti gli strumenti dell’aiuto domiciliare ed in particolare l’ADI, i SAD, le UTAP dei Medici di Medicina Generale. Tuttavia queste strutture richiedono una riconsiderazione per essere realmente funzionali alle esigenze dei cittadini.
Non fosse altro che per spostare le relazioni di aiuto dalle istituzioni alle reti sociali, i comuni debbono mantenere un ruolo fondamentale nelle politiche sociali e nell’integrazione sociosanitaria: per costruire reti sociali, dare loro ruoli, sedi, aiuti, occasioni, opportunità è impensabile senza che tutte le comunità locali siano coinvolte.
Se non tutto può essere risolto dalle istituzioni, allora bisogna indicare con chiarezza che cosa le istituzioni con certezza possono fare. Insomma vanno definite priorità, sulla base di evidenze epidemiologiche e con un largo coinvolgimento della popolazione. È con la definizione e pubblicazione dei Livelli Essenziali di Assistenza, che attendiamo ormai da troppo, che dobbiamo essere chiamati a definire e condividere queste priorità.
In questa logica, la persona che si rivolge ai servizi sanitari, sociosanitari e sociali deve assumere sempre maggiore responsabilità. Il progetto di intervento e cura va concordato con la persona, che deve impegnarsi a seguirlo. Spetta ovviamente agli operatori ed alle istituzioni verificare la efficacia e correttezza del progetto, ma la persona è fondamentale nei percorsi di cura. Va detto con chiarezza che non seguire i percorsi concordati corrisponde ad una rinuncia all’intervento di aiuto delle istituzioni, le quali non possono essere chiamate ad intervenire sempre e comunque, ma solo in una relazione positiva di collaborazione con le persone e le famiglie.
Se le persone sono chiamate a seguire i progetti concordati e ad assumere stili di vita sani, gli operatori sanitari, sociosanitari e sociali sono chiamati a fornire prestazioni sempre più appropriate ed a costruire relazioni corrette con le persone. Per farlo serve innalzare la qualità dei sistemi e dei singoli nei sistemi. Servono verifiche rigorose. Servono aggiornamenti professionali e formazione continua. Serve attribuire alle persone ed alle famiglie il diritto non solo formale ma vero e sostanziale di verificare se tutto sia stato fatto con tempestività, appropriatezza e con rigore professionale. E se in alcune circostanze le cose non sono andate così, bisogna avviare azioni riconoscibili di risanamento del sistema.
3.
Il governo del sistema ed il ruolo dei comuni
La grande complessità del sistema sanitario e sociale regionale è anche una rappresentazione dei tantissimi interessi che lo reggono: territoriali, sociali, professionali, finanziari, economici.
È evidente la necessità di ripensare la governance del sistema. In questi mesi l’Amministrazione regionale ha assunto decisioni importanti, com’era nel suo diritto, ma non ha cercato percorsi di condivisione ad esempio coi comuni. La riduzione della Conferenza di Codroipo ad un semplice strumento consultivo va in questa discutibile direzione. L’indirizzo fino ad ora prevalso e che trova nella proposta di PSSR conferme è quello alla semplificazione ed all’accentramento dei poteri nel sistema. Semplificare e centralizzare i poteri non sempre ha comportato una diminuzione di spesa, come clamorosamente si è visto con l’unificazione fra Santa Maria della Misericordia e Policlinico Universitario Udinese. Bisogna infatti non presumere che tutti i poteri siano facilmente riconducibili ad un progetto di semplificazione ed unificazione e che addirittura proprio questi processi possano condurre a duplicarli, com’è avvenuto nella dialettica fra primariati nella nuova Azienda Ospedaliero Universitaria Santa Maria della Misericordia, rendendo impossibile una diminuzione del numero delle cliniche ed aumentando i costi con l’adeguamento generalizzato dei contratti di lavoro ai livelli più alti, cosa che spiega il differenziale di retribuzione fra operatori del SMA e delle altre due aziende ospedaliere regionali. Nella semplificazione bisogna dunque operare con un progetto che definisca esattamente come e dove avverrà una riduzione dei costi e quali ostacoli dovranno essere rimossi.
In questo quadro si inserisce il tema della continuità della gestione, che nella nostra Area vasta si è dimostrato assai significativo. Si auspica perciò che il mandato dei nuovi direttori generali sia quinquennale (eventualmente revocabile) e non triennale per permettere l’effettiva attuazione del mandato dei direttori generali.
I sindaci dell’Area vasta pordenonese sanno di dover contribuire al governo del sistema definendo indirizzi che vogliono concordare con la Regione. Scegliere infatti quali servizi trasformare e ridurre e quali ampliare, quali sinergie creare fra reti ospedaliere e territorio, fra strumenti per la salute fisica, mentale e sociale, è compito al quale i comuni debbono accingersi, sempre che non vogliano che le scelte vengano fatte in un luogo apparentemente “tecnico”, che però incide pesantemente su di loro: le politiche sociali e dell’integrazione sociosanitaria sono strumenti fondamentali di governo del territorio, alle quali i comuni debbono contribuire, perché inevitabilmente i cittadini glielo chiedono e per non smarrire ruolo e significato. Questa in particolare è la fase in cui le risorse sociali sono immensamente più grandi di quelle istituzionali e più di tutto conta creare reti sociali e nessuno può sostituire il comune nel dare sostegno e sostanza nei territori a questi processi.
Il ruolo dei sindaci, in questo contesto, deve essere meglio valorizzato dalla Regione, attribuendo loro specifiche autonomie d’intervento.
4.
La rete dell’emergenza
Ridurre la rete dell’emergenza al solo Pronto Soccorso dell’AOSMA non è possibile, sia da un punto di vista strutturale, che dell’organizzazione del lavoro. Già oggi il Pronto Soccorso dell’Ospedale è oberato di lavoro.
Bisogna invece selezionare i codici in arrivo. Quindi sarà necessaria una riflessione sui livelli di assistenza garantiti dai vari Pronto Soccorso per adeguarne la struttura alle effettive potenzialità, mettendo in sicurezza i cittadini rispetto ai loro reali bisogni. Bisogna integrare in un sistema di prime cure gli studi medici associati sul territorio (UTAP). L’esperienza delle UTAP va sostenuta ed ampliata.
Quanto alla città, anche su questa dimensione dovrebbe esserci un accordo chiaro fra AOSMA e Casa di Cura San Giorgio, che lasci alla seconda i casi più semplici.
Ovviamente questo quadro d’insieme tiene conto del mantenimento di attività ospedaliere a Sacile (AOSMA), Spilimbergo e San Vito al Tagliamento (ASS6), del carattere di centro sanitario territoriale positivamente assunto dallo stabilimento ospedaliero di Maniago e del tempo necessario alla costruzione del nuovo ospedale di Pordenone, fattore che inevitabilmente richiederà un nuovo equilibrio.
5.
Le medicine ospedaliere
L’invecchiamento della popolazione accresce la domanda di ricoveri nei reparti di medicina. Anche la cronicità non è una condizione costante nel tempo, ma un susseguirsi di evoluzioni delle condizioni del paziente dentro un quadro conosciuto. Spesso le persone affette da malattie croniche hanno bisogno di ricoveri nei reparti di medicina. Oggi i maggiori ospedali non hanno posti letto di medicina sufficienti ed i malati vengono impropriamente ricoverati in altri reparti. Si tratta di un servizio necessario alla popolazione. Non ha senso chiudere o ridurre le medicine di Sacile e Maniago, territori dai quali inevitabilmente ci si rivolgerebbe all’ospedale di Pordenone che è già in difficoltà. Le medicine sono le funzioni ospedaliere di più immediato rapporto col territorio. Può essere invece ripensata la mission di Sacile (con una forte propensione riabilitativa anche per il paziente acuto) e di Maniago (anche volta alla lungodegenze). Sono in atto positive sperimentazioni sia dentro gli stabilimenti ospedalieri (specie nel SMA, a Pordenone e Sacile), che in relazione col territorio, volendo costruire una nuova relazione coi MMG, con l’ADI e con i SAD.
6.
Gli ospedali di San Vito al Tagliamento,
Sacile, Spilimbergo e Maniago
Il Piano non prevede la fine delle attività ospedaliere in questi centri.
È ragionevole definire che gli ospedali dedicati all’acuzie nell’Area vasta, stante la attuale situazione epidemiologica, organizzativa e di potenzialità dell’offerta, siano quelli di Pordenone e di San Vito al Tahliamento.
Lo stabilimento ospedaliero di San Vito al Tagliamento deve continuare ad ospitare non solo una unità ospedaliera complessa, con specialità plurime, ma anche servizi territoriali estremamente interessanti ed attrattivi, come il Servizio per i Disturbi Alimentari della ASS6.
Gli stabilimenti ospedalieri di Sacile e Spilimbergo vanno prevalentemente orientati verso le necessità clinico-assistenziali del paziente anziano multiproblematico e ad assolvere ai bisogni sanitari e socio-sanitari della popolazione residente nel territorio dei due distretti. Per ciò che riguarda invece le funzioni ospedaliere specialistiche, esse si giustificano in tanto quanto trovano una loro vocazione specifica che serve tutto il territorio dell’Area vasta e, vista anche la loro collocazione geografica ed il ruolo storicamente giocato dalle due città, le fa diventare attrattive.
Si può immaginare che verso Sacile si indirizzino tutte le attività di riabilitazione per acuti in uscita dal Santa Maria degli Angeli e quelle immediatamente successive alla fase acuta della malattia e che a Spilimbergo siano indirizzate le attività di “day surgery” dell’Area vasta.
Infine Maniago ha completato una fase di ristrutturazione esemplare, diventando un presidio sociosanitario territoriale nel quale sono presenti alcune attività di medicina ospedaliera e di pronto soccorso. Questo carattere di presidio misto, nel quale permangono attività ospedaliere, va riconosciuto se si vuole valorizzare l’esperienza ed offrirla ad altri come modello.
Una riorganizzazione territoriale degli ospedali rappresenta sicuramente il punto più critico che un piano socio-sanitario possa affrontare. Occorre saper coniugare la presenza di un ospedale di riferimento di alta qualità con una rete di presidi territoriali che, oltre a svolgere la funzione di ospedale di prossimità, mantengano inalterate le funzioni di attività storicamente svolte. Tali funzioni devono essere stabilite da precise norme e non essere modificabili da strategie poste in atto di volta in volta dai direttori generali. A queste condizioni, che al momento non vediamo presenti, si potrebbe parlare di ospedali riuniti, vale a dire una unica azienda ospedaliera operativa in più località del territorio.
Nel frattempo tutti i presidi ospedalieri devono mantenere e se mai potenziare la strumentazione diagnostica al fine di essere vero, serio ed efficace punto di riferimento dei cittadini.
7.
Dove trovare risorse:
le attività ospedaliere specialistiche
Le attività ospedaliere specialistiche, in particolare in campo chirurgico, debbono essere organizzate ed erogate da dipartimenti specialistici di Area vasta oggi necessariamente interaziendali, ma che domani potrebbero rispondere ad una unica azienda ospedaliera di Area vasta. A Pordenone si sono avviate esperienze positive, che indicano che è possibile una importante razionalizzazione.
8.
Il CRO: un istituto di effettivo riferimento
per la regione nel campo oncologico
Il CRO è inserito nel Sistema Sanitario Regionale con funzione di IRCCS, con finalità di ricerca clinica e di base, assistenza di elevata qualità e complessità e formazione post-laurea. Ciò in accordo con le normative nazionali che assegnano agli IRCCS il compito di ospedali ad alta specializzazione a valenza nazionale, con compiti di ricerca finalizzata al miglioramento delle conoscenze e della loro applicabilità in un contesto traslazionale. Il CRO deve mantenere i requisiti richiesti dalle norme nazionali per la qualifica di IRCCS (attività clinico-assistenziale, laboratori, ricerca di base, ricerca clinica trasferibile alla attività assistenziale del nostro territorio) perseguendo la miglior integrazione e collaborazione possibile con l’Ospedale di Pordenone, come individuato dalle direttive regionali.
Circa metà dei pazienti curati all’IRCCS-CRO con trattamenti di eccellenza / ad alta complessità è proveniente da fuori regione FVG, a conferma del ruolo nazionale di riferimento per le patologie oncologiche che viene riconosciuto all’Istituto. Una operatività clinica-assistenziale di elevata qualità e quantità e’ presupposto indispensabile alla attuazione di una ricerca traslazionale di valore.
Il CRO rappresenta l’attività sanitaria con maggiore capacità di attrazione a livello nazionale ed è una preziosa risorsa della realtà sanitaria regionale e provinciale. Esso deve assumere in toto il suo ruolo di riferimento inclusa la funzione di riferimento oncologico provinciale, nonché il Coordinamento del Dipartimento Oncologico Regionale. Queste premesse possono trovare un’effettiva concretizzazione solo creando una funzione unica oncologica per l’area vasta pordenonese governata e diretta dal CRO che racchiuda le attuali SOC di oncologia di tutto il territorio pordenonese (Azienda territoriale n° 6 e Azienda Santa Maria degli Angeli di Pordenone). Questo garantirebbe la necessaria competitività in termini di numeri al CRO e permetterebbe la realizzazione delle funzioni di riferimento regionale (Oncologia, farmacologia oncologica, diagnostica molecolare ed imaging, epidemiologia oncologica).
Il nuovo Piano Oncologico Nazionale 2008-2010, messo a punto dalla Commissione oncologica nazionale, propone di:
- strutturare le reti oncologiche regionali (ROL) attorno a un “nodo”, l’IRCCS monotematico che dovrebbe essere rinominato IRB (Istituto di Ricerca Biomedica). Compito del network regionale dovrebbe essere quello di definire i percorsi assistenziali programmati per le principali patologie e situazioni cliniche;
- garantire una presa in carico globale del malato fin dall’inizio del percorso terapeutico, attraverso un approccio multidisciplinare e multidimensionale rafforzato dall’integrazione tra servizi territoriali e ospedalieri di cure palliative e del medico di famiglia.
E’ importante rilevare che nella Regione Lombardia la funzione di Ente attuatore del progetto ROL è svolta dall’IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano e coordinato dalla Direzione Scientifica dell’IRCCS stesso.
9.
Sanità territoriale: nella trasformazione istituzionale
quale ruolo per i distretti?
Il PSSR 2010-2012 giunge alla fine di una lunga fase di riflessione e discussione sull’assetto istituzionale della sanità e avendo realizzato una riforma importante dell’intervento sociale istituzionale con la definitiva attribuzione di funzioni operative agli ambiti.
Sia la precedente che questa Amministrazione regionale hanno avanzato proposte di razionalizzazione dell’assetto istituzionale. In particolare per la sanità territoriale, si avanzano proposte per la creazione di una unica azienda regionale, dopo aver passato la gestione di tutti gli stabilimenti e di tutte le attività ospedaliere alle tre aziende ospedaliere di Area vasta. Questa scelta dovrebbe consentire un miglior controllo della spesa ed una razionalizzazione degli apparati amministrativi. Abbiamo però esperienze di accentramento delle funzioni cui non ha corrisposto né più efficacia né più risparmio.
Qualsiasi “semplificazione” deve perciò avvenire sulla base di un progetto studiato nei particolari e convincente, pena risultati opposti a quelli dichiarati. Ma la domanda cui rispondere in questo quadro è quale ruolo si individui, allora, per i distretti sanitari, la vera “incompiuta” della sanità regionale. È chiaro che i distretti non debbono essere piccole aziende sanitarie, ma se servono a razionalizzare la spesa, allora debbono essere collegati ad un obiettivo generale raggiungibile: dare a tutti i cittadini del FVG uguali diritti sanitari e sociali e renderli esigibili per tutti sul loro territorio di residenza. Definiti i LEA si potrà distribuire la spesa sul territorio in modo equo e prevedibile, eliminando quei punti bassi ed alti che sono oggi caratteristica del sistema di sanità territoriale ma soprattutto evitando che una concessione fatta ad un territorio si trasformi poi in un fattore di sviluppo di tutta la spesa regionale.
Insomma il Distretto dovrebbe essere uno strumento con poca burocrazia, con obiettivi chiari definiti coi LEA, con un margine di autonomia limitato ma vero, dentro il quale possa sviluppare l’integrazione col territorio e con l’Ambito in particolare.
Si possono sperimentare anche forme di efficace integrazione istituzionale fra Ambito e Distretto, a cominciare dalla definizione dei PAT-PDZ. Considerati i complessi ed onerosi processi di progettazione recentemente messi in atto dagli Enti Locali - con l’assunzione di un ruolo di regia politica e tecnica - e l’alto numero di soggetti istituzionali e non istituzionali coinvolti nel processo di pianificazione e programmazione partecipata dei PDZ, si rende necessario “riorganizzare” le modalità di pianificazione locale sociosanitaria PAT/PDZ. Si chiede che gli aspetti di innovazione non rientrino nei budget ordinari ma trovino delle risorse aggiuntive magari su bandi specifici. Allo scopo i PDZ devono essere considerati il metodo della programmazione sociale e lo strumento per la costruzione del welfare integrato. Il processo va sicuramente migliorato, raccogliendo ed analizzando i dati epidemiologici del territorio e definendo i LEA sia sanitari che sociali, in modo da rendere i processi di programmazione e progettazione di effettiva utilità per il cittadino residente nella nostra regione. Quel che non sarebbe possibile né concepibile è una espropriazione delle politiche sociali ai comuni, per le motivazioni più volte sopra richiamate. Piuttosto, se si vuol dare certezze all’integrazione sociosanitaria, si passi rapidamente ad approvare strumenti simili a quelli già vigenti in molte regioni e conseguenti ai decreti attuativi della Legge nazionale 328/2000.
10.
Il vero punto di storica debolezza dell’Area vasta:
la sanità territoriale e l’integrazione sociosanitaria
Uno degli elementi portanti del nostro sistema regionale è l’integrazione socio-sanitaria che va realmente sostanziata con strumenti e mezzi adeguati e verificabili. Per conseguire questo obiettivo sarebbe auspicabile che al PSSR venisse affiancato un Piano sociale regionale, come del resto era stato annunciato nella fase di presentazione del Libro Verde, per consentire una maggiore e migliore integrazione.
Nella nostra Area vasta i servizi sanitari territoriali sono deboli. Essere deboli non significa certo non esistere. Significa avere risorse umane, materiali e finanziarie inferiori rispetto alla domanda di salute che viene dai cittadini. Significa essere costretti ed effettuare un numero altissimo di prestazioni ma poter effettuare di frequente prese in carico deboli. Significa stressare molto sia chi lavora in alcuni settori, che le famiglie che sono costrette a supplire.
L’Area vasta pordenonese, sia per scelte errate operate dai suoi decisori politici (l’assoluta centralità degli ospedali non ci è stata imposta né da Roma né da Trieste), sia per aver subito gli effetti di una scarsa attenzione regionale, non ha servizi territoriali sufficienti e non ne avrà in futuro se il meccanismo di finanziamento regionale resta il sostegno alla spesa storica. Quando nella proposta
di PSSR si indica la necessità di un “catalogo dell'offerta dei servizi sociosanitari accreditati”, basato sui “costi standard” pare si indichi la necessità di ripensare alla distribuzione delle risorse sul territorio regionale.
Ma per passare ad una nuova fase è necessario che la Regione definisca finalmente i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) uguali per tutti i cittadini della regione ovunque residenti e li renda esigibili per tutti. La bozza di PSSR 2010-2012 apre nuove speranze, affermando una nuova cultura ed una nuova attenzione alla disabilità ed alla cronicità.
La Conferenza dei Sindaci dell’Area vasta pordenonese condivide le premesse generali del Piano 2010-2012 nelle loro enunciazioni valoriali e di principio, in particolare dove si sostiene che “i cittadini sono uguali dal punto di vista dei diritti e delle aspirazioni” e “i gruppi fragili vanno attivamente individuati e serviti”: sono affermazioni importanti che dovrebbero permeare tutto il sistema di welfare regionale.
Bisogna però porre mano all’assenza di riferimenti forti, nella bozza di PSSR, ad alcune questioni importanti, come il settore materno infantile, quelli della riabilitazione e della prevenzione, quest’ultimo con un’attenzione specifica dedicata alla salute nei luoghi d lavoro, alla medicina dello sport. Nella bozza di PSSR in esame si afferma che in questi settori continuano ad essere operative le linee approvate con il precedente Piano sanitario e socio-sanitario 2006-2008. Si auspica il mantenimento della visione strategica contenuta nei precedenti piani regionali, apportando i necessari interventi migliorativi.
In particolare per quel che riguarda la salute delle donne e dei bambini: la rete dei consultori ed i servizi di neuropsichiatria infantile meritano attenzione specifica, perché trattano della fertilità umana e dei bambini e sono perciò imprescindibili per il nostro futuro, uno dei campi verso i quali trasferire le risorse risparmiate altrove.
È evidente che la bozza di PSSR è stata costruita attorno alla cultura che ha generato l’ICF (e non tanto all’ICF come strumento). Le abilità e non le disabiltà diventano centrali e perciò l’inserimento lavorativo, le reti sociali ed il terzo settore (e la cooperazione sociale) sono determinanti. Si è creduto che questo passaggio logico fosse evidente per tutti ma non è così e varrà la pena di esplicitarlo. Questa nuova sensibilità culturale, che indica la necessità di una visione unitaria e complessa della persona, deve contribuire al coordinamento delle risorse impegnate per disabilità e cronicità, per evitare che l’attuale frammentazione possa generare confusione nelle “appartenenze” dei singoli soggetti ai diversi filoni d'intervento.
Per quanto riguarda la nostra Area vasta, è chiaro che dobbiamo superare la concezione per cui di una persona dipendente da sostanze o con una malattia mentale noi oggi vediamo soprattutto la mancanza di abilità e non ciò che può dare in termini di utilità sociale. È anche vero però che gli strumenti per valorizzare quello che le persone possono dare sono troppo scarsi e che, ad esempio, per valorizzare, un Dipartimento delle Dipendenze con solo 23 operatori per affrontare sia
l’estesissimo abuso di alcol che le dipendenze da tutte le altre sostanze, pur basandosi su solide reti sociali, è davvero troppo poco. Se poi accettiamo il dato epidemiologico secondo cui le minori abilità sono oggi frutto soprattutto di infortuni ed incidenti, come non vedere la pochezza strutturale del Dipartimento per le Dipendenze?
Colpisce nel Piano una assenza di riflessione sul ruolo dei Medici di Medicina Generale, che sono invece uno dei pilastri dell’attuale sistema. Bisogna fare un grande sforzo per connetterli in modo strutturale al sistema nel suo complesso. Le associazioni dei medici di medicina generale sono lo strumento migliore per farlo, dando un servizio innovativo sul territorio. Appare contraddittorio sollecitare una razionalizzazione delle urgenze ospedaliere, ridurre ruolo e peso delle medicine e contemporaneamente non pensare che UTAP (e ADI) debbano assumere un ruolo ed un peso sempre maggiore. A meno che non si pensi ad altri strumenti non esplicitati.
I Medici di Medicina Generale possono essere anche uno strumento importante di governo della domanda di prestazioni e perciò delle liste d’attesa. I tempi per le liste d’attesa devono infatti essere affrontati dando priorità all’efficienza, evitando di reagire in risposta a notizie negative occasionali bensì con risposte di sistema.
Infine, la cosa più importante. La bozza di PSSR fa intravedere ipotesi nuove di organizzazione della sanità territoriale: una azienda unica regionale del territorio, un modello di integrazione ambiti-distretti in via di definizione ma che deve esaltare il protagonismo dei comuni pena grandi difficoltà nel raccordo con le sempre più indispensabili reti sociali e con tutte le attività educative.
E’ necessario un progetto volto a garantire a tutti i cittadini eguali Livelli Essenziali di Assistenza effettivamente esigibili. Che non vuol dire dividere la spesa complessiva regionale per la sanità territoriale per il numero dei residenti in FVG e moltiplicarla per quello dei residenti in ogni ambito-distretto: è chiaro che vari fattori cambiano la spesa sanitaria, come la presenza di anziani, bambini, immigrati regolari e l’essere o meno un territorio di montagna. Ma uno sforzo per garantire a tutti eguali diritti sociali e sanitari va assolutamente compiuto, altrimenti di questa proposta verrà concepito solo un carattere di accentramento regionale delle decisioni.
11.
Un piano
per l’area montana
Nell’area montana della provincia di Pordenone l’età media è superiore a quella regionale e provinciale; il reddito medio pro-capite è inferiore alla media provinciale e regionale; la densità abitativa è pari a 32 abitanti per kmq contro una media provinciale di 129 e regionale di 155; esiste una importante difficoltà di trasporto per accedere ai servizi; ci sono lunghe liste di attesa; c’è una forte carenza di strutture di offerta socio-sanitaria.
Non c’è mai stato un piano globale per questo territorio, che lo mettesse in sicurezza, ma proprio questo è oggi necessario: un progetto complessivo di sviluppo. L’Assemblea dei Sindaci dell’Ambito Nord ne ha approvate le linee essenziali in un documento che viene allegato a questo.
12.
Residenze per anziani:
rivedere e completare la rete
Nell’Area vasta pordenonese esiste già una importante rete di residenze per anziani non più autosufficienti, che oggi accolgono soprattutto persone affette dai vari tipi di demenza, richiedendo una specializzazione di alcune funzioni delle case. Esistono tuttavia pochi territori che comprendono più comuni che non ne dispongono. E’ giusto in questi limitatissimi casi autorizzare l’apertura di nuove, piccole residenze, secondo gli standard di qualità approvati dalla Regione. Ciò varrà tra l’altro a ridurre le liste d’attesa nelle altre case e a rendere più semplice ai famigliari mantenere contatti coi loro cari e partecipare alle attività di cura. Lo sradicamento dal territorio non è mai una buona opportunità né per le persone né per le famiglie.
In alcuni ambiti distrettuali si è avviata la sperimentazione delle liste uniche per l’accesso alle varie case, in modo da razionalizzare questo processo e facilitare le famiglie. Fra qualche mese le assemblee dei sindaci potranno valutare i primi esiti della sperimentazione.
Esiste infine la questione dell’adeguamento delle case esistenti ai nuovi parametri per il loro accreditamento varati dall’Amministrazione regionale. È necessario che la Regione aiuti i comuni nell’operazione di adeguamento strutturale delle attuali case o nella realizzazione di nuove sostitutive, laddove quelle esistenti (ad esempio prevedendo molti più posti letto dei 120 massimi oggi previsti) non possano più essere utilizzate o dove l’operazione di ristrutturazione, dovendo avvenire in vecchi edifici, richieda troppe risorse rispetto alla nuova costruzione.
13.
Ci candidiamo
a sperimentare
L’Area vasta pordenonese è sempre stata luogo fertile di sperimentazioni in campo sociale e sanitario.
Ci sono almeno tre questioni sulle quali ci candidiamo a compiere sperimentazioni che, se avranno successo, possono essere estese a tutti:
a) L’ICF. In alcune realtà abbiamo già avviato l’utilizzazione dello strumento. Abbiamo realtà sia istituzionali che del Terzo settore pronte per sperimentare e vogliamo farlo. Abbiamo una mentalità da sempre volta a valorizzare quel che una persona può e la sua utilità sociale rispetto ad ogni altra considerazione.
b) Punti unici di accesso al sistema. Le tre aziende operanti sull’Area vasta e gli ambiti possono creare punti unici di accesso e sperimentare una presa in carico con un unico care giver. Abbiamo già avviato esperienze e possiamo espanderle.
c) Messa in rete di tutti i servizi. Siamo pronti per farlo.
14.
Un efficace sistema
di verifiche
Troppo spesso l’impressione che abbiamo è che non ci sia una verifica vera dell’esito di tante discussioni e di documenti faticosamente approvati. Si passa da un PSSR all’altro senza un esame chiaro di che cosa sia avvenuto nel frattempo e se le previsioni si siano avverate e come. Invece di tutto questo c’è bisogno e deve essere un sistema partecipato e trasparente, a costo zero, per alzare la consapevolezza di tutti. La Regione è chiamata a realizzarlo ed i comuni sono disposti a collaborare.